Di Linda Savelli, Dott.ssa in Tecniche Psicologiche per i Servizi alla Persona e alla Comunità

Dott.ssa in Filosofia

Il lutto è un processo naturale e dinamico che ha una sua evoluzione, ma il suo percorso doloroso può essere alleviato attraverso l’utilizzo della scrittura autobiografica, come un diario, per esempio.

Quando il tempo si congela, a causa della sofferenza non ancora accettata, la narrazione autobiografica in forma scritta può essere una strategia efficace per “far ripartire” il presente, permettendo all’individuo che sta vivendo un lutto di avvicinarsi al proprio mondo interiore, confuso dalla perdita subita (Mencacci et al., 2015).

E’ da tutti oramai ben conosciuto il valore della lettura anche come strumento di riflessione e introspezione, mentre nella società occidentale è andato perduto il gusto della narrazione che in passato riannodava le trame dell’esistenza, fornendo senso e significato ai piccoli come ai grandi eventi della vita, incluse la nascita e la morte.

Viene così a mancare la naturale elaborazione di un evento ineluttabile quanto naturale che incute terrore e il cui pensiero viene spesso soppresso come inaccettabile o troppo ansiogeno. Il diario, soprattutto durante un periodo di grande dolore psicologico e spirituale, offre l’opportunità di rientrare in ascolto dei propri pensieri e quindi di senso all’esistenza che sembra di colpo diventata vuota e inutile. La scrittura autobiografica aiuta a tessere nuovamente la trama di una vita che si è bloccata in loop di dolore, incredulità e rabbia.

La scrittura di un diario personale permette all’individuo di districare la confusione in cui si sta dibattendo, riportando ordine laddove c’è caos e instabilità. Ma perché proprio la “parola scritta” riesca a sortire quest’effetto catartico sull’individuo in lutto?

Per prima cosa si può rispondere che, scrivendo, si fissano i ricordi, le emozioni, le sensazioni e i pensieri, che diventano incancellabili, qualcosa su cui possiamo tornare a posare lo sguardo tutte le volte che lo desideriamo o che ne sentiamo il bisogno. La pagina scritta, quindi, rimane lì, pronta per essere di nuovo letta, elaborata, ripensata, anche discussa.

Poi possiamo dire che la scrittura è un atto mediato, più lento e riflessivo del discorso orale, che, quindi, permette un’elaborazione più approfondita di quanto desideriamo esprimere, anche quando scriviamo di getto, furiosamente, a causa delle emozioni che ci sopraffanno.

Scrivere di sé, degli eventi che ci accadono e delle emozioni che risvegliano, è, dunque, un lavoro di introspezione che in caso di lutto non può che essere benefico e che ci aiuta sicuramente a esprimere tutto quello che proviamo.

Bibliografia di riferimento:

Mencacci, E., Galiazzo, A. & Lovaglio, R. (2015). Dalla malattia al lutto – buone prassi per l’accompagnamento alla perdita. Milano: Casa Editrice Ambrosiana.