di Maria Scorzo psicologa-psicoterapeuta
“Non si può non comunicare” P. Watzlawich
Nella cassetta degli attrezzi di uno psicologo certamente il colloquio riveste una grande importanza. Il termine “colloquio” deriva dal latino “cum loqui”, cioè parlare insieme. Il colloquio psicologico ha delle specificità che lo differenziano dal semplice dialogare o dal conversare: il suo scopo è quello di facilitare la comunicazione permettendo all’individuo di sentirsi accolto e non sottoposto al giudizio del professionista.
Il clinico presterà, quindi, molta attenzione al linguaggio, cercando di non utilizzate termini troppo tecnici, così come presterà attenzione al linguaggio del paziente in termini di stile, lessico e tono di voce. Il colloquio si diversifica anche in base agli scopi prefissi: di diagnosi, di valutazione e di restituzione.
All’interno di esso la parola riveste una grande importanza, tuttavia, il colloquio non è la sola tecnica utilizzabile in un incontro. Soprattutto con i bambini e gli adolescenti – ma anche con gli adulti molto difesi nell’esprimersi – possiamo utilizzare altri strumenti.
La prima tra queste tecniche da annoverare è sicuramente il gioco.
Il gioco è il linguaggio naturale dei bambini e rappresenta il mezzo con cui essi costruiscono il significato del mondo circostante. Il gioco concorre allo sviluppo sociale, fisico e cognitivo dell’individuo in via di sviluppo e contribuisce allo sviluppo emotivo. Secondo Bettelheim, tramite la scelta dei giochi effettuata da un bambino possiamo farci un’idea di come lui vede e interpreta il mondo. Attraverso il gioco il bambino, infatti, esprime cose difficilmente traducibili a parole. Possono entrare a far parte della stanza di terapia anche cose semplici, tra cui pennarelli e fogli bianchi, pupazzi rappresentanti animali, oggetti della quotidianità o materiale più strutturato come la casa delle bambole.
Come il gioco anche il disegno è qualcosa di prezioso per il bambino. Il terapeuta mostrerà i materiali a disposizione prestando attenzione alla disposizione del bambino al riguardo e inizialmente potrà fare richieste generiche del tipo “Ti va, quando vuoi, di disegnare?”. L’ espressione grafica del bambino avrà, infatti, una forte valenza simbolica. Si possono fare anche delle richieste più dettagliate, come chiedere di disegnare una figura umana o una casa e da quello che sembra un disegno possono scaturire contenuti molto interessanti. Osservare il gioco e il disegno di un bambino può dare tante informazioni sul piano diagnostico e relazionale.
E con gli adulti?
Possiamo chiedere di utilizzare il corpo per fare una sorta di scultura. La scultura in ambito terapeutico è una tecnica utile nel lavoro con le coppie e con la famiglia. Si chiede a un membro o a tutti i membri di rappresentare la situazione che vivono utilizzando il corpo come se fosse materiale per una scultura, posizionando gli altri membri nello spazio e facendo loro assumere determinate posizioni. È importante che ogni membro si senta libero di esprimersi e il terapeuta, attraverso alcune domande mirate, sonderà il vissuto emotivo di ciascuno. Tramite la scultura si possono esplicitare emozioni e tensioni difficilmente esprimibili verbalmente.
Bibliografia di riferimento
M. Pratelli. Lo vedo dagli occhi. Milano: Franco Angeli 2012
J. Haley, L. Hoffman. Tecniche e terapia della famiglia. Astrolabio 1978