di Cristina Ghezzi Psicologa – Psicoterapeuta

La parola giapponese Hikikomori, proviene dalla fusione di “hiku” (tirare, trattenere) e “komoru” (chiudersi) e significa “la tendenza di un adolescente a isolarsi dal mondo” (Vocabolario Zanichelli, 2013).

In specifico, si parla di adolescenti che si tagliano fuori dalla società e trascorrono tutto il loro tempo reclusi nella loro stanza, eliminando tutti i contatti con i familiari e con gli amici; nei casi più lievi i ragazzi accettano di condividere con i genitori gli spazi domestici o di fare acquisti, ma mai con i coetanei. La reclusione volontaria avviene gradualmente: prima si smette di andare a scuola, poi di frequentare gli amici, che vengono conservati soltanto virtualmente. In genere, dopo un lungo periodo di ritiro, emerge anche una forte aggressività verso i genitori.

In Italia gli hikikomori sono ragazzi tra i 13-14 e i 19; la maggior parte dei ragazzi ritirati è di sesso maschile, ma il numero delle ragazze è in crescita.

E’ ormai un dato accettato che l’essere umano è sociale per natura; fin dalla nascita il bambino cerca il rapporto con la madre, non solo per il bisogno di cibo e riparo, ma come necessità di una relazione fatta di amore, calore, affetti e carezze. Se il caregiver saprà accoglierlo con amore e interesse, il bambino crescerà sicuro e sereno, mentre se qualcosa è andato storto in questo primo legame relazionale, si produrranno dei disagi e delle difficoltà che si manifesteranno proprio durante l’adolescenza, magari impattando sulle relazioni amicali o portando al ritiro sociale. L’interesse per l’altro, il piacere di stare con i coetanei, allora, viene meno e i rapporti diventano molto difficili e faticosi. Il vissuto di distacco doloroso e tormentato può portare a una profonda depressione; le emozioni sono ancora presenti, ma sono ingestibili, motivo per cui non vengono portate nelle relazioni con gli altri; ci si sente incompresi e capaci di combinare solo guai e arrecare sofferenza, per cui l’isolamento sociale diventa l’unica via di fuga anche se estremamente dolorosa.

Per quanto riguarda la prevenzione e la cura, sappiamo che gli adolescenti difficilmente comunicano a parole i loro stati d’animo e le loro difficoltà, ed è necessario fornire gli strumenti di conoscenza alle famiglie, ma anche agli insegnanti o ad altri adulti significativi che possono cogliere i primi segnali di disagio e chiedere aiuto a un esperto. Si rivela, proprio per la gradualità dell’insorgenza, molto importante prestare attenzione ai primi segnali di disagio che possono manifestarsi attraverso il corpo dell’adolescente, con dolori fisici o con sensazioni di estraniamento o di pericolosità da parte degli altri, questo perché l’hikikomori non chiede aiuto ed è silenzioso nel suo ritirarsi.

A livello di prevenzione sono importanti una corretta e diffusa informazione sul malessere psichico e la sua cura, con progetti rivolti a ragazzi, insegnanti e genitori attraverso dibattiti, libri, corsi o convegni; ma anche gli sportelli d’ascolto all’interno degli istituti scolastici, a cui i ragazzi possono rivolgersi per un primo aiuto.

Una volta che il problema si è manifestato, la strada da seguire è una: prendere in carico i genitori, senza il supporto dei quali è impossibile entrare in contatto con questi ragazzi che rifiutano con forza qualsiasi tipo di ingerenza esterna.

E’ necessario, quindi, iniziare un percorso con la famiglia per capire la specifica situazione e trovare le soluzioni più adatte al caso specifico, attraverso la terapia o il sostegno che può essere fornito alla coppia genitoriale, all’intero nucleo familiare o agli individui. In seguito, sarà possibile avvicinarsi al giovane con contatti telefonici, visite nello studio o a domicilio, che permetteranno la costruzione di una relazione finalizzata alla risoluzione del disagio attraverso il recupero della socialità.